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GALLERIA DEI RESIDENTI

conversazioni

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|4| Roberta Racis Choreographer and performer 1.06.25 / 3.06.25

"Mi interessa la pulizia del movimento: un movimento che si posiziona, che chiede attenzione, che catalizza e che poi trasporta, un richiamo per qualcosa di più profondo. Nella pratica mi attraggono il femminile e i rituali trasformativi, l’evocazione, l’effimero, il non detto, qualcosa che resti a fior di pelle".

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|4| Roberta Racis 1.05.25 / 4.06.25

  • Il lavoro che sto portando avanti ha una genesi piuttosto inconsueta per me, perché nasce da qualcosa che definirei quasi psico-magico. Sono sempre stata ancorata al dato concreto, ai numeri, alle forme, ma questa volta c’è una componente emotiva che agisce a livello più profondo, che sublima nel subconscio. Tutto è iniziato da un sogno, un’immagine chiara e potentissima: mi vedevo in una stanza, con una frusta in mano. Era un periodo in cui riflettevo su diversi temi: la rabbia, la libertà, il femminile, l’evoluzione, il bisogno di accogliere insieme tutti questi elementi. Evidentemente il mio inconscio ha lavorato e mi ha restituito quell’immagine che ha continuato a interrogarmi anche da sveglia, tanto da spingermi a fare delle ricerche, a approfondire.      

  • Fin da subito la natura è stata centrale, anche quando ancora dipingevo. Ho iniziato dipingendo e osservando la natura: il paesaggio era già il tema principale. Poi è nata l’esigenza non solo di osservarlo, ma di entrarci dentro, catturarne gli aspetti materiali. Da lì, in modo molto naturale, i materiali hanno iniziato ad emergere dalla superficie, a diventare più presenti nello spazio. È stato un percorso in crescendo: ho iniziato a lavorare con elementi vivi della natura, come vegetali, piante viventi, e poi da lì è nata anche l’esigenza di installare le opere nello spazio naturale.
     

  • Quello che mi interessa rispetto a questo oggetto è esplorare cosa posso realizzare con la frusta performativamente: come si usa, come può inserirsi all’interno di in un processo creativo. Per questo ho iniziato a cercare persone esperte che potessero insegnarmi a utilizzarla. Dopo vari passaggi, mi è stato consigliato di rivolgermi all'artista Mordjane Mira: un altro segnale che ho interpretato come significativo, visto che ho scoperto che viveva in un piccolo paese della Sardegna, proprio vicino a dove abita mio padre. Da lei ho iniziato a prendere lezioni, consolidando sempre di più l’idea di questo lavoro.

  • Quando ho preso in mano la frusta per praticare il whip cracking – lo schiocco acrobatico della frusta – non ho pensato all’idea di diventare una whip cracker. Non è quello l’aspetto che mi interessa portare in scena. Mi interessa piuttosto capire come questo strumento può entrare nel mio processo creativo, nella costruzione di un lavoro che tocca determinate tematiche. 
    Con la frusta e con il mio corpo costruisco una partitura, utilizzando strumenti compositivi come l’accumulazione, la ripetizione, la trasformazione e la ciclicità.
    In futuro vorrei capire come includere anche il suono che produco – oltre allo scalpiccio dei piedi, al tramestio, allo svolazzare della gonna (perché penso che indosserò una gonna che assecondi i miei movimenti) – e come possa far parte di tutto questo anche il suono inatteso della frusta, che non è solo lo schiocco, ma anche il fruscio e tutte le variazioni che si creano quando l’elemento entra in contatto con l’aria.
    La frusta è un oggetto estremamente tecnico e complesso da maneggiare. Ti puoi ingarbugliare, te la puoi dare in faccia. È difficile da usare, ma dà grandi soddisfazioni, è molto catartica. È come se riuscisse a canalizzare non solo il momentum – perché se non lo cogli, proprio come con il corpo, la frusta non schiocca, non gira – ma anche l’energia. E’ un oggetto poetico, evocativo, che ha delle connotazioni, anche culturalmente, molto specifiche. Sicuramente trasmette una sensualità, una sinuosità che traspare dal suo movimento. Però l’oggetto che porto in scena, anche se può evocare erotismo, non è sessualizzato. Io porto la logica del corpo che agisce e che si muove adattandosi, guidando e mettendosi a servizio del suo utilizzo. Tutto qua.

  • Vorrei far emergere un suono “altro” da questo oggetto. Quando prendi in mano una frusta, tutti si aspettano subito lo schiocco, il colpo netto… ma può esserci, come può non esserci mai. Mi interessa lavorare su una sorta di punteggiatura: piccole cose, fremiti, cambiamenti improvvisi che si inseriscono nel vocabolario corporeo e sonoro che sto costruendo nel tempo. Per ora ho elaborato solo pochi principi, un esercizio, sperimentando delle variazioni. Il resto si amplierà gradualmente, man mano che la mia abilità tecnica crescerà.

  • Mi interessa la pulizia del movimento: un movimento che si posiziona, che chiede attenzione, che catalizza e che poi trasporta, fungendo da richiamo per qualcosa di più profondo. Nella pratica mi attraggono il femminile e i rituali trasformativi, l’evocazione, l’effimero, il non detto, qualcosa che resti a fior di pelle.

  • In questo caso c’è un doppio processo di apprendimento: sto imparando a usare la frusta, a fare il cracking dal punto di vista tecnico, e sto imparando a fare cracking nella mia pratica. E parallelamente sto sempre imparando io, con me stessa, a coreografare e a selezionare ciò che mi interessa approfondire. 
     

  • In sala inizio sempre col mio training, per riscaldarmi. Poi parto dai materiali che ho già costruito, ripentendoli a spron battuto. Li ripeto, li ripeto… Quando sono soddisfatta della ripetizione, inizio a cercare delle variazioni: “e se lo faccio prima? e se lo faccio dopo? e se lo faccio girando? anche a sinistra?”. Inizio così, con sessioni libere, in cui ho un canovaccio di cose, le faccio, mi filmo, mi riguardo, butto ciò che non funziona e tengo ciò che funziona. 
     

  • Il sistema delle residenze ti permette di comporre, di creare il lavoro, ma allo stesso tempo solleva interrogativi, soprattutto rispetto al nomadismo esasperato che noi, come danzatori e creatori, ci troviamo ad affrontare: cambiare letto, città, spazio, spostarsi continuamente… Forse sarebbe bello immaginare periodi più lunghi nello stesso luogo. Ma nel momento storico che stiamo vivendo, mi considero comunque estremamente fortunata.
     

  • Una delle cose che sto imparando mentre porto avanti il mio lavoro è che ha bisogno di molto poco: poche cose, essenziali, spartane. Ho capito che è questo il contesto migliore per me, perché il troppo amplifica il mio “troppo”…
     

  • In uno spazio di lavoro cerco tranquillità e libertà. Anche confronti e cura: una bella sala, un ambiente tranquillo, un posto dove dormire. Anche staccare, poi, per farti la tua vita. Per me è molto importante. Apprezzo il rigore, la pulizia e il minimalismo che ci sono qui a La Cap. Mi sembra un posto lineare dove poggiare le cose. Uno spazio centrato, calmo. È uno spazio ideale, questo, per me.

© da una conversazione con Roberta Racis a cura di Silvia Giordano

Roberta Racis è coreografa, danzatrice e performer. La sua ricerca esplora la possibilità di interazione tra movimento e voce, mettendo lo sguardo femminile al centro di opere rituali e trasformative. La sua residenza a La Cap rappresenta una delle prime tappe nello sviluppo di Nulla dies sine linea, una partitura fisica e vocale per corpo e frusta che riflette sull’impulso — non solo come gesto improvviso, ma come slancio e intenzione.

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